Testo Critico di CATIA PRINCI MENNITI – 2011

 

Francesco Visalli è pittore autodidatta, si è avvicinato alla pittura in età matura, dopo aver acquisito un eterogeneo bagaglio di esperienze grazie a una vita ricca di incontri e a un succedersi di eventi che hanno segnato significative tappe nella sua crescita interiore.

La passione per il disegno, che ha accompagnato la sua carriera di architetto, l’ha sostenuto nell’intraprendere il suo cammino artistico, cammino che si è svelato all’improvviso, quasi come una rivelazione. A cinquant’anni infatti, in uno dei momenti più travagliati della sua vita Visalli ha iniziato a disegnare senza sosta, giorno e notte, come se da molto tempo in lui fossero presenti immagini che cercavano accoglienza in un sembiante da manifestare, in una condizione che solo la mano dell’artista poteva soddisfare. Basteranno poche settimane perchè questi primi approcci segnici diventino dipinti, lasciando emergere da subito uno stile personale, che nella sua accezione da autodidatta non è certamente possibile definire naïf, per la complessità e la bellezza misteriosa che caratterizza le sue opere.

Visalli non studia e non vuole studiare i grandi maestri dell’Arte, perchè non vuole condizionamenti. La sua fantasia vulcanica non può inserirsi in una corrente delimitata da definizioni troppo anguste, che non gli consentirebbero di professare quella libertà di espressione di cui è assetato.

All’artista non importa di essere incluso in una casella, di acquisire una quotazione, di entrare a far parte di una collezione: lui vuole raccontare con onestà ciò che prende vita nella sua mente, come in un ininterrotto sogno a occhi aperti.

È questa la prima cosa che colpisce delle opere di Visalli, la loro dimensione squisitamente onirica, che porta a interrogarsi su che cosa l’abbia ispirato. Ciò che egli dipinge è un sogno, una rielaborazione di sentimenti, una visione? Probabilmente nelle sue opere ci sono elementi che provengono da ognuno di questi mondi, rendendole misteriose e affascinanti agli occhi di chi osserva.

È possibile guardarle con lo sguardo innocente di un bambino, lasciandosi cullare dalle linee e dalle cromie, o indagarle tramite il filtro dell’esperienza di un adulto, riconoscendo stati d’animo ed esperienze che accomunano molte vite.

I lavori di Visalli infatti si costruiscono su architetture compositive estremamente complesse e ricche di particolari, di indizi, in una trama fitta, che sembra contemporaneamente alludere e sviare lo sforzo interpretativo.

Egli attinge a una tavolozza variopinta, un autentico caleidoscopio cromatico che tinge il mondo conosciuto di tonalità intriganti e fantastiche, le quali in concomitanza con il disegno creano mondi nuovi, prima impossibili nei loro equilibri e risoluzioni e poi, ad una lettura più attenta, reali e tangibili, fatti di sentieri che possono essere percorsi con curiosità e delicatezza.

Lo stile di Visalli è personale ed efficace nel trasmettere il suo messaggio. I colori non si mescolano mai, ma sono sempre separati da una sottile linea bianca, riportando al ricordo di alcune vetrate delle cattedrali gotiche, dove l’incontro tra la luce e le superfici vitree evoca una soffusa atmosfera di magia e sospensione. Non ci sono ombre in questi quadri, a volte vi troviamo solo leggerissimi chiaroscuri, che diventano impalpabili intermittenze all’interno
della visione composta. Nonostante manifesti il desiderio di svincolarsi dall’influenza di altri artisti, qualche volta non si può fare a meno di notare nella sua arte reminescenze picassiane o cromatismi cari al movimento dei Fauves. Tuttavia il pittore riesce sempre a restare fedele alla propria originalità.

Alcuni hanno definito Visalli un surrealista. Probabilmente è più corretto parlare di un artista visionario. Nelle sue opere non troviamo descrizioni dell’assurdo o accostamenti bizzarri. Egli attinge al reale e lo modifica, lo arricchisce, ne estrapola alcuni particolari per trasporli in una nuova dimensione. Davanti ad alcune sue
opere si ha la sensazione che egli soffra di una sorta di horror vacui. Tutta la tela è completamente occupata dal disegno, generando una sensazione molto simile alla vertigine. In realtà, queste composizioni non rispondono a una mera esigenza di riempimento ma sono costituite da contrappunti, dichiarazioni visive e rimandi, che divengono l’unico modo possibile per rappresentare un mondo infinito, al di là dei concetti di tempo e di spazio, capace di svilupparsi su più dimensioni, in un’espansione che continua idealmente oltre i confini predefiniti della tela.

È come se Visalli avesse un canale di comunicazione diretto e libero con la propria immaginazione, una dote quanto mai rara che, insieme al suo talento, gli permette di tradurre con chiarezza le proprie visioni. Gli equilibri che egli crea sono fragili e precari, si ha l’impressione che la qualità compositiva finale, avvolta in una sorta di turbinio creativo, sia sempre a rischio; tuttavia alla fine egli riesce a recuperare il controllo del tutto e delle parti, attingendo probabilmente anche alla propria competenza nelle tecniche di costruzione. In altri dipinti, il costrutto segnico è maggiormente sobrio ed essenziale, capace di inquadrare sinteticamente una riflessione o un’emozione.
Ciò che è costante nelle opere di questo artista è non solo il riferimento al sentimento, ma anche la fitta serie di rimandi culturali e letterari, che fanno delle sue opere qualcosa di universale. Senza retoriche superflue, Visalli restituisce a chi guarda un diario di esperienze, sentimenti e pensieri che non sono un qualcosa di individualmente soggettivo, ma che, fondandosi su solidi archetipi di matrice junghiana, uniscono in uno scambio e in una comunicazione densa di significati l’artista e l’osservatore. Egli diventa una sorta di messaggero alato, capace di svelare i piccoli raggiri del quotidiano, le amarezze del vivere, le solitudini cercate, le immense malinconie e i gretti materialismi che tutti abbiamo sperimentato prima o poi sul nostro cammino.

La sua opera non si traduce in un giudizio morale, piuttosto in un avvertimento espresso con empatia da chi sa tratteggiare i contorni del buio, perché lo ha vissuto, sperimentato profondamente e ne è anche uscito vincitore. Per questo in altre tele troviamo messaggi fortemente positivi, ricchi di speranza e desideri che aspettano solo di essere realizzati da chi ha il coraggio di osare, mantenendo vivo il dialogo con il proprio io.

Tali presupposti sono fondamentali per comprendere l’opera di questo artista visionario che, nel susseguirsi dei suoi lavori, propone un’affabulazione autentica sul significato intrinseco del vivere.

È forse per questo suo istintivo proiettarsi verso altri orizzonti che spesso nei suoi quadri compare la figura del cavallo, sinonimo di libertà e di viaggio, simbolo di bellezza e di nobili valori, figura salvifica come salvifico è l’amore, in primo luogo quello spirituale che guida la mano sagace e l’intelligenza del cuore che appartengono alla sua arte.