Testo Critico di GIOVANNI FACCENDA – Mostra Personale ROMA 2011 / CHIOSTRO DEL BRAMANTE

 

«Da dove venga questo spazio in me

non lo so.»

Wislawa Szymborska, Grande numero, 1976

 

Torno a scrivere dell’opera di Francesco Visalli in coincidenza di una mostra destinata a costituire uno snodo decisivo nella carriera di questo apprezzato pittore. Non è soltanto l’importanza della sede, prestigiosissima, deputata ad accoglierla – ovvero il Chiostro del Bramante in Roma –, ma la consistenza stessa di quanto attentamente selezionato per l’occasione: in pratica, il lavoro dell’artista dalla fine del 2009 ai giorni a noi più prossimi.

Quello che a qualcuno potrebbe sembrare un marginale riferimento cronologico è, al contrario, un dato fortemente emblematico: in circa due anni di febbrile attività, tra idilli, crisi, ansie, diffuse trepidazioni, Visalli non ha dipinto che una ventina di quadri: sempre più grandi per dimensioni, a dire il vero.

In uno scenario artistico come quello attuale, contraddistinto da ingenti produzioni, necessarie per soddisfare i bulimici appetiti del mercato, un ragguaglio del genere attesta la bontà dell’impegno di un autore evidentemente disinteressato a simili consuetudini. Del resto, ogni risvolto della florida creatività di Visalli collima informato da una profondissima urgenza endogena: cercare tra i misteri radicati nella propria anima quelli, tanto seducenti e imperscrutabili, della pittura.

Dipingere, così, diventa per lui una sorta di esercizio psicoanalitico insistito in quell’umbratile ambito della memoria dove l’esistenza deposita una moltitudine di scorie sempre toniche. Ne è pervaso il racconto, evocato, talvolta, da immagini che diresti familiari (Osteria, Le nozze, Rimpianto e speranza, Colazione da Tiffany, nn. 1, 2, 3, 6 del catalogo), tanto queste sono prossime al quotidiano di ciascuno: identico, ad esempio, è il senso di solitudine che è dato provare a chi si trovi a consumare solitario un pasto in un locale o a sedere, senza alcuna compagnia, in una panchina all’aperto. Resiste, tuttavia, l’idea di un raccoglimento che, per Visalli, è anche momento basilare: gli serve per fare chiarezza in se stesso, oppure per trovare, nel proprio caleidoscopio interiore, i semi, ubertosi, di figurazioni incombenti.

Che egli rappresenti soprattutto ciò che nascostamente lo riguardi – anche attraverso curiose personificazioni, così come era solito fare, peraltro, Giorgio de Chirico –, risalta eloquente in talune vagheggiate composizioni (Musicista letteratoPoeta errante, nn. 4, 5). Ma sono principalmente i fondali, ai quali Visalli affida il ricordo dei luoghi che lo hanno accolto durante i suoi innumerevoli viaggi (Paesaggio 1– Il borgo, Rimembranze, nn. 7, 8), a raccontarci, sottovoce, di nostalgiche avventure, perigli remoti e, finanche, della varietà di emozioni, fatalmente sospese tra la sofferenza e la gioia, divenute, adesso, appigli narrativi indispensabili.

Il tempo, la vita, le esperienze hanno contribuito ad accentuare la sensibilità di Visalli, temperando, nell’intimo, le frizioni che hanno scosso talora i nervi più scoperti. Certo passato, a un tratto, riemerge così con l’effigie sibillina di una donna nella quale ne indovini cento altre (DoppiezzaEssa,EllaLeiColei, nn. 9, 10, 11, 12, 13): affiora ossessiva – questa enigmatica presenza – dal peculiare ordito grafico, tra gradazioni cromatiche e trasparenze che esibiscono, tacite, le considerevoli qualità del pittore. Non è dato naturalmente sapere chi sia costei, e, in ogni caso, una sensazione analoga a quella avvertita al cospetto della Gioconda di Leonardo, vi aleggia intensa: l’ermetico rispecchiamento emotivo di chi l’ha ritratta. Anima gemella (n. 18), Infinita storia d’amore (n. 20)? Altro. Entità mentali di una «realtà alternativa» elucubrata dall’estro di Visalli.

In questo modo nascono e trovano realizzazione le sue Visioni (nn. 14, 15, 16). Colori come stati d’animo vi convergono allagando di fascino prospettive oniriche abitate da miti e archetipi. Foreste di simboli [1] – le avrebbe dette Baudelaire –, nelle quali forme antropomorfe, affini ai Moai tipici dell’Isola di Pasqua, vivono una virtualità parallela.

Una stasi inverosimile governa in spazi silenti che paiono appartenere ad una geografia lunare, quasi Visalli avesse inteso sigillare, in un compendio immaginifico, i singoli accadimenti di una lunga storia, riletta, ora, attraverso l’allegorica architettura di un mosaico, le cui tessere, frastagliate, suggeriscono domande irrisolte, asperità insuperabili. Di più: incrinati equilibri sentimentali che si riverberano, copiosi, all’interno di una riflessione colma di ciò che resta di illusioni ormai incenerite e incanti lontani (Pan d’oroAlba di Madame Chisciotte, nn. 17, 19).

Improvvisa, interviene nella pittura una bava tragica. Sciama dai versi di Wislawa Szymborska, La stanza del suicida (n. 21):

Certo pensate che la stanza fosse vuota.

E invece c’erano tre sedie con robusti schienali.

Una lampada buona contro il buio.

Una scrivania con sopra un portafoglio, giornali. [2] […]

Un amico intellettuale si è suicidato senza lasciare nulla di scritto: nella stanza, restano soltanto i suoi oggetti a parlare di lui. Metafisica delle cose: Visalli ne partecipa lo spirito ancestrale e, insieme, il dominio eterno, prendendo spunto dal doloroso racconto lirico di una poetessa incline – come Leopardi – al pessimismo cosmico:

 

[…] Finiranno tra i rifiuti le scarpe, scomode testimoni.

Il violino verrà preso dall’allievo meno dotato.

Saranno tolti dagli spartiti i conti del macellaio.

Le lettere della povera madre finiranno in pancia ai topi. [3] […]

 

Dinanzi ad un tale caos, divenuto anch’esso cosmico (n. 22), può essere utile e persino salutare riporre tutto in una grande Valigia (n. 23). Metterci dentro le città, i paesi, la gente, e ancora gli animali, i fiumi e gli alberi che hanno riempito di stupore o di malinconia i nostri occhi; i fremiti che hanno acceso o spento il cuore; le speranze sopravvissute fino al precipizio della verità o della disperazione. E partire. Per un viaggio – vero o immaginario, non importa – che abbia, come queste intriganti pitture di Visalli, un unico ordine: l’antico motto inciso sull’architrave del portale del tempio di Delfi. Gnōthi seautón (Conosci te stesso).

Firenze, giugno 2011.


[1] C. Baudelaire, Corrispondenze, da I fiori del male, 1857

[2] W. Szymborska, La stanza del suicida, da Grande numero, 1976.

[3] W. Szymborska, Il classico, da Ogni caso, 1972.