Una protesta “volutamente incompresa”

(Lettera aperta del 25 febbraio 2014)

Sono trascorse ormai più di tre settimane dal fatidico 28 gennaio, giorno in cui, dopo essermi autodenunciato, ho messo fine alla performance del Circo Massimo iniziata la notte del 24 novembre 2013. In questo arco di tempo, molti hanno parlato dell’accaduto con diverse chiavi d’interpretazione. In molti casi correttamente, in molti altri, purtroppo, la notizia è stata mistificata e strumentalizzata. Sento quindi la necessità di fare un po’ di chiarezza per riportare le cose nel giusto binario.

L’aspetto fondamentale della mia azione è stato, infatti, quasi completamente ignorato, non capito o taciuto. Chi conosce il mio lavoro e il mio progetto “Inside Mondriaan” saprà ricollegare il monolite alla mia ricerca, ma in ogni caso sento il bisogno di sottolineare nel modo più categorico che il mio intento non era affatto un modo furbesco e abusivo per esporre un’opera in un contesto pubblico per tornaconto pubblicitario. I media che hanno affermato questo hanno travisato il senso di quanto successo in modo superficiale e scorretto.

Il “monolite”, collocato in quel preciso luogo, non è l’esposizione di sé stesso, ma rappresenta l’esposizione di un “simbolo” che, insieme al gesto di occupazione abusiva e atto dissacratorio (sottolineo, senza alcuna conseguenza vandalica), ha inteso esporre questa protesta:

–       Ho esposto e dimostrato l’assenza ed il lassismo delle istituzioni nei confronti dell’arte. Il totale disinteresse per il patrimonio artistico di questa città e per l’arte contemporanea.

–       Ho esposto e dimostrato la totale assenza di controlli, soprattutto sul piano della sicurezza, che mi ha permesso di posizionare un’opera di quelle dimensioni, senza incorrere in nessuna vigilanza.

–       Ho esposto e dimostrato l’ottusità delle istituzioni nei confronti dell’arte contemporanea. Un esempio su tutti il divieto, a Kentridge, di attuare il suo progetto che avrebbe valorizzato le sponde del Tevere. Ho esposto il controsenso della “tutela” con la quale si giustifica la mancanza di operazioni contemporanee in città. A un artista riconosciuto a livello internazionale viene vietato un intervento, mentre io, che sono uno sconosciuto, riesco a installare un’opera di tal dimensione, senza che le stesse istituzioni, così attente alla tutela e conservazione del patrimonio storico, se ne accorgano.

–       Ho esposto la totale assenza di un progetto culturale globale, che una città come Roma, culla mondiale dell’Arte e della Storia, meriterebbe. Donandole il lustro che le compete ed attirando in questo modo gli artisti di tutto il mondo. E questo farebbe da traino anche a tutto il mercato dell’arte, il quale, spostando qui il proprio interesse, porterebbe grandi ritorni anche sul piano economico.

–       Ho esposto la situazione di scoordinamento totale di alcuni musei di questa città, un esempio su tutti il Macro e, in parte, anche il Maxxi. Per non parlare poi della “tragedia” del Palladium.

–       Ho esposto e resa manifesta l’ottusità che impedisce di vedere che abbiamo, in tutto il territorio, un Bene primario, l’Arte, che invece rappresenta l’ultima risorsa.

–       Ho esposto l’incapacità delle istituzioni di trasformare Roma nella vera capitale mondiale dell’arte, creando quel “fermento artistico” che è sempre mancato. Unica città con un patrimonio incommensurabile, dove tutti gli artisti potrebbero manifestare “liberamente” la propria arte: dalle arti visive, al teatro, cinema, musica e così via.

–       Ho esposto e resa manifesta l’impossibilità per molti artisti, di poter dare evidenza a quello che fanno. A meno che non si tratti di un artista con capacità finanziarie, allora può avere quello che vuole, dagli spazi espositivi di prestigio, fino alla “critica di parte”, ivi compresa l’editoria di settore con tutta la visibilità che desidera…basta pagare!!

Ecco, questo è ciò che ho esposto e dimostrato. Un faro puntato su tutti questi problemi. Ed ho sperato! Ho sperato che tutto questo si andasse ad infrangere su “’sto benedetto monolite di acciaio”. Ho sperato che facesse almeno scaturire una profonda riflessione sullo stato in cui versa l’arte di questo paese e di questa città, con l’attesa di vedere poi fatti concreti.

Purtroppo, per superficialità, per mancanza di volontà di ascolto o forse, tendenziosamente, per nascondere il lassismo delle nostre istituzioni, molte testate hanno fatto passare l’operazione come un tentativo autopromozionale e, in alcuni casi, sono stato attaccato sul piano personale oltre che artistico. Anche i pareri critici che riguardano strettamente l’opera, siano essi positivi o negativi, sono in questo caso fuori luogo. E’ così difficile capire che soffermarsi solo ad un superficiale giudizio estetico e artistico dell’opera, poco c’entra con quello che rappresenta e con il senso concettuale della mia operazione?

Il successo dell’operazione non è, infatti, legato né a quello che da ora in poi sarà la mia carriera artistica né ai giudizi critici ed estetici sul monolite in sé. Il successo di quanto fatto è stato la durata di due lunghi mesi in cui “Place de la Concorde” è rimasta al Circo Massimo sotto gli occhi indifferenti delle istituzioni che non solo non sono riuscite a difendere la città, ma non si sono nemmeno accorte della mia “invasione” fino a che non le ho posto fine autodenunciandomi.

Tutto quello che ne è seguito, non è altro che la perfetta rappresentazione del “mito della caverna di Platone”.

Mi rendo conto, quindi, che “forse” ho lottato inutilmente per un ideale, per una verità scomoda da digerire. Un sogno utopico il mio. Ma almeno ho agito, ho fatto qualcosa. Ho compiuto un atto d’amore per questa città, mettendoci la faccia, esponendomi in prima persona e impoverendomi quasi del tutto e non ne sono affatto pentito. Capisco che in questo mondo ormai è impossibile credere che qualcuno agisca per un ideale, ma questo è.

Francesco Visalli