francesco visalli inside mondriaan project B367 2 1E piet mondrian 1

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(Febbraio 2013)

Cosa mi abbia spinto ad elaborare questo studio, questo progetto, francamente proprio non lo so. L’unica cosa che sento è che non riesco a fermarmi, non posso farne a meno. E’ un fuoco ardente che mi tiene inchiodato giorno e notte. Non so perché stia facendo tutto questo, non ne trovo uno scopo o una finalità pratica, oggettiva, razionale.

Lo faccio solo per me, perché mi fa star bene e rende vivo. Come tutto quello che ho fatto fino ad oggi, da quando è iniziata questa nuova vita.

Quello che segue non è assolutamente da considerarsi un atto di “rivisitazione” di Mondrian, bensì una “visitazione”, uno studio, un approfondimento, una scoperta del suo operato.

Da qui ne deriva il titolo del progetto: VISITARE MONDRIAAN.

Non a caso ho usato il suo vero cognome, con la tipica doppia a Olandese, perché in qualche modo, con questo studio, non ho solo scoperto l’artista ma anche l’uomo: “Piet l’invisibile”

Prima di procedere alla descrizione del progetto, è opportuno ripercorrere, anche se in forma sintetica, alcuni aspetti basilari dell’astrattismo di Mondrian.

Esso si fonda su una regola principale, ossia l’esclusivo utilizzo di linee nere verticali ed orizzontali che si intersecano formando un reticolo. All’interno del reticolo, alcuni piani vengono dipinti con i soli colori elementari: rosso, blu e giallo, che si combinano con spazi di non colore, bianco.

Esistono poi alcune variabili, come l’adozione delle gradazioni di grigio o il diverso spessore delle linee o, in altri casi, l’utilizzo di piani neri.

Altra regola è che le linee non hanno fine e non  vengono mai poste sul bordo del quadro (tranne in alcune rarissime eccezioni), come se l’opera potesse continuare all’infinito, oltre i confini evanescenti della tela. A volte queste linee terminano prima del bordo, o in altri casi, continuano oltre fino a percorrere lo spessore del telaio.

Ma, a parte queste particolarità, rimane la regola basilare di un reticolo di linee rette, mai inclinate o curve, e di piani dipinti nei tre colori primari.

Sembrerebbe semplice ed elementare, quasi infantile, poter realizzare opere con così pochi elementi. Ma così non è. La magia di Mondrian sta proprio nel renderle complesse e profonde, fino a creare una perfetta armonia, un equilibrio matematico, una melodia che incanta.

Questo è ancor più evidente se si osserva come, dalle prime opere astratte dove erano presenti piani di colore più ampi ed un cromatismo più ricco nei tre colori base, sia giunto, nelle ultime, ad una essenzialità disarmante. Un fondo completamente bianco, dove disporre solo linee nere e piccoli tasselli di colore, a volte anche uno solo. Sorprendentemente anche un piccolo tassello colorato diventa protagonista e forma un equilibrio perfetto nella composizione generale.

Il disegno delle linee, che formano il reticolo, sembra seguire regole auree, matematiche, quasi scientifiche. Ma in realtà l’opera risulta armoniosa, fino ad apparire come una composizione musicale, perchè l’estro di Mondrian aggiunge quegli elementi di istintiva dissonanza, da renderla geniale e vibrante.

Apparentemente così elementari e geometriche, personalmente trovo che nelle opere di Mondrian vi sia anche una forte passionalità e sensualità. La regola di contrapporre due direzioni opposte, verticale ed orizzontale (rispettivamente la spiritualità ed il materialismo) in perfetto equilibrio, mi appare come l’ideale incastro d’amore tra un uomo ed una donna che, opposti per natura come le direzioni delle linee, diventano una cosa sola fondendosi in perfetta armonia.

In altri momenti, invece, questa passionalità sembra esplodere in una sorta di “dissonanza cognitiva”, come dire: mi fido, ma sono geloso.

L’intera esistenza dell’umanità si regge su questa opposizione del contrario. Il bene e il male, il bianco e il nero ed ogni forma di forze contrapposte che si scontrano. L’una non esisterebbe se non vi fosse l’esatto contrario. Equilibrio ed armonia sono generati proprio da tale conflitto. E forse sarà per questa contrapposizione che Mondrian è passato dal realismo all’astrattismo puro.

Non voglio cimentarmi in un testo critico su Mondrian, esprimo solo le mie sensazioni cercando di evidenziare gli aspetti che mi hanno impressionato e condotto a questo lavoro.

Quello appena espresso è uno di questi.

Altro aspetto è quello dell’accostamento dei tre colori primari, che non colpisce solo a livello cromatico, ma anche a livello dimensionale. E’ la combinazione di colore e dimensione che genera equilibrio armonico nell’insieme dell’opera. E così accade che in un’opera dove vi è un grande piano rosso o blu, diventa protagonista un piccolo tassello giallo.

Ognuno di questi tre colori, poi, ha funzioni di movimento diverse: il giallo tende a dilatarsi, il blu a restringersi, mentre il rosso è statico. Due movimenti opposti ed uno neutro.

In definitiva, pur partendo da poche componenti elementari, la loro combinazione appare estremamente complessa ed articolata, offrendo infinite possibilità di composizione. Ciò nonostante, non è scontato trovare quella che generi un perfetto equilibrio.

Per fare questo credo che si debba essere in perfetta armonia con la vita, con la natura, con il cosmo. Avere un profondo equilibrio interiore, una purezza d’animo come quella di un neonato, non ancora corrotta dal mondo.

Non so se Mondrian avesse raggiunto questo stato esistenziale, ma la sua aspirazione, paragonabile a quella del Suprematismo di Kazimir Malevič, di arrivare fino “al grado zero della pittura”, lo ha portato ad andarci molto vicino (anche se, a mio avviso, è un po come cercare la fine dell’infinito).

Per Mondrian, il tentativo di raggiungere il grado zero della pittura, si compie, prima, con la distruzione dello spazio eliminando la tridimensionalità e, poi, nella esponenziale scomposizione dei piani, fino a raggiungere la massima espressione della astrazione: “arrivare più vicino possibile alla verità, raggiungere le fondamenta delle cose”. Tutto ciò non come termine ultimo, bensì come meta da dove “il tutto” può avere un nuovo inizio.

Tale auspicio Mondrian lo rivolgeva all’intera Umanità, la quale, secondo lui, ha bisogno dell’arte per poter sperimentare, anche solo momentaneamente, l’equilibrio. Ma se l’Uomo raggiungesse dentro di se una perfetta armonia, allora non avrebbe più bisogno di arte, perchè l’equilibrio è arte.

Incuriosito ed affascinato da tutto questo ho iniziato a chiedermi, cosa ci sarà dietro tanta armonia? Come è possibile raggiungere un tale stato di purezza ed essenzialità in composizioni apparentemente semplici, ma estremamente complesse? Cosa accade a queste opere se le osservo da un’altra angolazione, se le penetro, se guardo il loro retro come il rovescio di una medaglia? E se le deformo? Le altero nei cromatismi o le converto in scale di colori neutri?

Il risultato è stato stupefacente!!

Partendo dall’opera originale e rispettando esattamente la base della stessa, l’applicazione di tutte le possibili trasformazioni, dal mio punto di vista, non ne ha alterato l’armonia.

Un tale risultato potrebbe apparire quasi banale, scontato. In verità non è così riduttivo come sembra.

L’intero percorso compiuto con questo progetto, cela aspetti più profondi, intimi ed evolutivi, che tenterò di spiegare nel paragrafo successivo.

Per ora si tratta solo di un progetto grafico, ma ben presto inizierò a trasformare le immagini che ho elaborato in quadri. Un ruolo fondamentale lo avrà la tecnica pittorica e certamente anche il mio personale stile.

Avrei voluto dedicare un capitolo alla descrizione della tecnica di preparazione ed applicazione dei colori; della mescola e composizione degli stessi, nonché delle diverse texture che vorrei adottare, ma credo che in questa fase di studio progettuale, sia superfluo.

Affinchè non sembri una forma d’arte completamente studiata a tavolino, ci tengo a sottolineare che davanti alla tela, avrò le idee chiare su cosa dipingere, avrò un disegno di base ben definito, ma lascerò come sempre all’istinto decidere in che modo preparare ed applicare il colore.

francesco visalli inside mondriaan project B367 3 1E piet mondrian

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(Febbraio 2013)

Ripartendo da quanto affermato in precedenza: tutte le possibili trasformazioni elaborate con questo studio, dal mio punto di vista, non hanno alterato l’armonia delle opere originali.

Potrebbe apparire banale e scontato essere giunti a questo risultato, ma in verità c’è qualcosa di più profondo.

Con questo studio non ho inteso dimostrare nulla di particolare. Ho solo cercato di comprendere a fondo l’arte di Mondrian, assecondando la forza ignota che mi ha spinto a tuffarmi in questo mondo, per assorbirne l’essenza.

Con le sue opere Mondrian è andato lontano, troppo lontano (come disse Fernand Léger), forse oltre l’umana percezione, divenendo quasi irraggiungibile. E’ arrivato a livelli di astrazione talmente puri ed eccelsi, da portare l’arte astratta su un piano che appare esoterico ed impalpabile, dove solo menti ed anime a lui affini possono giungere alla comprensione.

Nella mia piccolezza ed umana umiltà, per compiere questo percorso di ricerca, ho dovuto necessariamente portare la sua opera a livelli più materiali e comprensibili alla mia mente, darne una misura accessibile alla mia anima.

L’auspicio è che quanto prodotto con questo studio, possa essere di aiuto anche a tutti coloro che sono fuori da quella ristretta cerchia elitaria che riesce a percepire a fondo l’opera di Mondrian.

Pertanto, senza averne piena coscienza, ho affrontato un percorso a ritroso, esplorando ed inserendo tutte quelle componenti che Mondrian aveva invece eliminato epurando la realtà e giungendo all’essenza dell’astrattismo. Disse: “…voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta (anche se solo le fondamenta esteriori) delle cose…”

Questa sua geniale intuizione lo ha portato a compiere una sintesi talmente profonda da spingerlo così lontano, in una sfera quasi divina, che forse l’uomo terreno non riesce a comprendere.

Inconsapevolmente, mi sono ritrovato ad esplorare le sue opere senza essermi prima documentato ed aver studiato la sua arte. Ho elaborato miriadi di disegni, spinto solo da una voglia irrefrenabile, bramoso di scoprire cosa ci fosse dentro e dietro. Solo dopo ho cercato di capire cosa stessi facendo e così ho compiuto una analisi a ritroso, partendo dal risultato per arrivare all’origine di tutto e dare un senso a questa ricerca. Inconsciamente e solo per istinto, ho scoperto di aver messo in atto una serie di passaggi che “aggiungono”, che sono proprio quelli eseguiti da Mondrian nel “togliere”.

Ho cercato in qualche modo di portare le sue opere su un terreno a me più familiare, trasponendole a quella che è la mia realtà, il mio mondo, che definisco da sempre “realtà alternativa”. Non è una forma diversa di vedere la realtà conosciuta dall’uomo, bensì quella di viverne una collocata in diversa condizione spazio-temporale, in un mondo parallelo. Quindi non ho osservato le opere di Mondrian da questo mondo, ma le ho trasposte in un’altra dimensione cosmica, che probabilmente risiede dentro di me, per vederle con altri occhi.

Così mi sono ritrovato a dare una sorta di tridimensionalità e ad inserire quegli elementi spaziali che Mondrian aveva epurato. Oppure, ad elaborare delle distorsioni che conferiscono forme curvilinee alle rigide griglie mondrianiche. Ed ancora, a ribaltare l’opera originale per esplorarne il retro, il lato nascosto, quasi a voler spiare quell’angolo celato dell’anima di Mondrian che forse anche lui non voleva vedere. Pertanto, in questo processo inverso, anche i colori hanno subito una trasformazione divenendo l’opposto dei colori primari.

Si dice che ciò che odiamo è solo l’immagine riflessa di qualcosa insito in noi che non accettiamo. E così il rosso diventa verde, colore tanto odiato da Mondrian, altro elemento che mi ha fatto pensare di aver esplorato l’intimo profondo dell’anima del genio.

Perché Mondrian all’inizio amava confrontarsi con la realtà, con i paesaggi olandesi, con la natura e poi arriva ad odiare gli alberi e bandire il verde? Cosa ha scatenato la profonda kenosis che a un certo punto ha compiuto, facendo morire quell’uomo e quell’artista per rinascere esattamente opposto?

C’è un altro aspetto che mi ha impressionato e che ho scoperto e compreso solo in seguito, in relazione alle distorsioni che ho applicato.

Della vita di Mondrian mi ha colpito molto la contrapposizione esistenziale, una sorta di doppia anima, oscillante tra vita isolata nel suo studio e vita sociale; tra linee ed arabeschi; tra opere prive di ogni orpello, pure, essenziali, rigide griglie da apparire come gabbie e l’amore per la musica jazz, il charleston ed il boogie woogie, che invece sono melodie ed armonie ricche di variazioni, di distorsioni, sincopi, dissonanze ed allegria.

Così, senza saperlo, mi sono ritrovato a dare distorsione alle sue opere e, meravigliato, ho visto apparire forme armoniche, allegre e danzanti, in alcuni casi sembrano spartiti dove aleggiano le note musicali ed in altri somigliano a composizioni floreali.

Concludendo, con questo percorso di studio e ricerca, che voleva essere una analisi delle sue opere per comprendere l’astrattismo, mi sono ritrovato, invece, a scoprire e conoscere “l’altro” Mondriaan.

francesco visalli Cover sito inside mondriaan testo valeria arnaldi 1

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Architettura dello spirito, volatilità della materia

di

Valeria Arnaldi – ( 2013 )

 

Ancora, prima di partire

E volgere lo sguardo innanzi

Solingo le mie mani levo

Verso di Te, o mio rifugio,

A cui nell’intimo del cuore

Altari fiero consacrai

Chè in ogni tempo

La voce tua mi chiami ancora.

Segnato sopra questi altari

Risplende il motto “Al Dio ignoto”.

Conoscerti voglio, o Ignoto,

Tu, che mi penetri nell’anima

E mi percorri come un nembo,

Inafferrabile congiunto!

Conoscerti voglio e servirti!

 

(F. W. Nietzsche)

 

Macchie di colore alle pareti come appunti di una filosofia in divenire, che ogni giorno vengono composti in modo differente a creare alternanze e giochi di contrasto. Nuovi spunti di pensiero. Tagli di luce rubata, esaltata e moltiplicata che investono le superfici, creando sospensioni e interferenze, puntatori naturali di realtà non percepite. Silenzio. In questo ambiente di luce e calore, prima ancora che colore nella sua comune accezione, si muove Mondrian quando crea. Così ha voluto costruire il suo studio, edificando una sorta di rifugio dalle dimensioni indefinite, dove lasciar correre l’ispirazione e i sentimenti per nutrirla. Così ha costruito la sua opera-museo, cui la gente accorre per piacere, agio, perfino moda, senza la consapevolezza di essere parte di un esperimento sensoriale. E musa.

È il movimento a sedurre l’artista. Da osservare, ripensare, costruire, mai determinare. Movimento come frutto di intelligenza o istinto, del cosmo o della comunità. Mai fine a se stesso ma come prova di una sotterranea armonia, che è fondamenta della vita, non altrimenti percepibile. D’altronde Mondrian ha un’anima musicale, che si esplicita in prima battuta nei passi che non riesce a trattenere sulle note jazz e nelle sue notti “agitate”, dove l’assoluto, ricostruito o ipotizzato, cede il passo all’irruenza – e frenesia – della vita. In equilibrio tra pulsioni differenti, il rigore del giorno e l’eccitazione della sera, l’ambizione alla “cella” creativa e la corsa tra locali e ballerine, Mondrian cerca di fermare l’esistenza, non per contemplarla, tantomeno per riprodurla, ma per sezionarla e scoprirne meccanismi e regole. L’ispirazione dunque è nella mobile visione proprio perché la tensione è all’eternità immobile. Non è l’estetica del rigore a guidare le sue astrazioni pittoriche, ma la volontà, anche di potenza, come strumento per approdare all’assoluto, concetto univoco di verità che ammette l’opinione solo come fase della sua stessa evoluzione. E l’assoluto per Mondrian non è caos, tutt’altro, è armonia come denominatore filosofico e artistico dell’esistenza. Ed armonia perfetta, abile a creare vita, nelle sue diverse forme.

Armonia di natura e armonia di ingegno, armonia di un caos da non specificare oltre, che è creazione pura, e armonia lucida e di intelletto che, invece, è pura costruzione. La sua sfida non è nel mercato, il suo pubblico non è l’osservatore. Il traguardo è l’assoluto, il palco è la vita, il sipario lo sguardo interiore, capace di andare oltre il noto in una confusione di tempo e spazio che è l’unica eternità umanamente ipotizzabile. Costruibile. Questo vuole Mondrian: costruire l’armonia perfetta, assoluta, eterna. Riga su riga. È la sua missione, il suo manifesto. Perfino, la sua ossessione, da quando, nel 1911, ha visto ad Amsterdam i suoi lavori esposti accanto a quelli di Picasso, Cezanne, Braque, ed ha percepito, nell’atto, la trasformazione e trasfigurazione del cosmo. Per quella folgorazione, Mondrian si è convertito all’astratto, rinnegando le sue basi ma soprattutto la notorietà acquisita. Il desiderio, l’unico possibile, è raggiungere la verità dell’arte e nell’arte, scavare la forma e superarla per giungere alla sua essenza e alle radici stesse del vivere, ridotto alla semplicità, e forse sì anche al rigore, ma in tutta la sua magia, di linee e colori.

La tela non è supporto ma alfabeto, la forma non è soggetto ma metafora, l’ordine non è costrizione ma respiro. Così le rette che si incontrano a farsi protagoniste dei suoi lavori non sono “linee” ma battaglie di sentimenti, da un lato, che precipitano pesanti nel senza-fondo dell’animo, e di energie, dall’altro, che veloci scalano vette di entusiasmo e delirio, costringendo Icaro a guardarsi nello specchio per scoprirsi Prometeo. E, purtroppo, viceversa. Così l’ellittica ma evidente tridimensionalità non è semplice spessore ma profondità dell’indagine intellettuale, pensiero che affonda la lama della lucidità nelle carni dell’intuito per approdare alla radice del vissuto. Percepito, compreso e superato. Così il colore non è solo sensazione e invenzione, ma ora pausa di abbandono, stasi dalla frenesia del palpito creativo che impone all’immaginario un bagno di coscienza, ora invece onda e direttrice di eternità e ritmo.

È l’urgenza dell’Essere ad essere ritratta, la stessa urgenza che è pure motore della ricerca. L’io non lo seduce con la trappola dell’autoaffermazione ma lo guida nel reticolo di una coscienza ampia che è linfa del cosmo, senza altra distinzione di identità dalla visione. Mondrian è un visionario e non ha timore di esserlo. Così come non ha paura di rinnegarsi, se gli occorre per allargare l’orizzonte di coscienza e conquista.

Obiettivo, celebrare la capacità di pensiero. L’uomo mondriano pensa e ripensa il suo orizzonte, nell’illusione di poterlo determinare o addirittura inventare in una battaglia tra Genio e Natura per la conquista della Bellezza, concetto classico e ambizione moderna, che nei lavori dell’artista si manifesta come architettura dello spirito, dunque monumento di volatile materia.

“Credo sia possibile – scrive – che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un’alta intuizione, e portate all’armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera”. Ecco i suoi reticoli di essenza ed esistenza, geometrie pulsanti e senza respiro, frutto di incontri e intrecci, di più, forse, di gomitoli dipanati di religione, scienza, filosofia, ideologia, coscienza della bellezza e suo sentimento. L’armonia è ambizione antica e prospettiva classica, ma anche desiderio del moderno che in essa ritrova le fondamenta di quella volontà che fa l’uomo essere unico nell’universo. La bellezza è un concetto inventato, una figura perfino retorica, un canone che l’uomo si è autoimposto per sentirsi padrone di qualcosa e di una qualsivoglia forma di evoluzione, interamente controllabile. È aspirazione immutata nei secoli ma concetto profondamente mutevole. Mondrian lo sa e non se ne cura. La bellezza non è nella tela che è invece il percorso che alla bellezza deve portare, tracciato di un viaggio che non può per natura giungere a destinazione se non con la morte e l’assoluta certezza di non poter vedere oltre. L’estetica dell’uomo non è gusto puramente inteso, ma architettura modulabile, composta di mattoni di tempo e comune sentire, di imperativo e regola, di personale e collettivo. Per essere passibile dell’evoluzione di cui è testimone, però, l’architettura di bellezza deve conoscere la levità che è possibilità di costante mutamento. Deve farsi tratto e non atto, metafisica, mai fisica.

L’emozione dell’architettura di Mondrian non è nella pietra ma nella carne e nelle sue pulsioni. Giorno e notte si fondono nell’incontro di due rette, la percezione scalda la proiezione, l’orizzontale si fa donna e il verticale uomo, perché da nodi impercettibili del loro contatto emerga dirompente la vertigine. Anche del colore. L’armonia si fa figlia della battaglia che, lance in resta, vede forma e materia fronteggiarsi per scoprire che perfino filosofia e arte, le “altezze” dell’uomo, sono solo bugie che il dio regala agli esseri umani per dare loro il coraggio di affrontare la vita e con essa la morte. È questo “sistema” decomposto e poi ricomposto il canto di Mondrian, la sua città invisibile fatta di scultoree illusioni su carta. Verità profonde appoggiate in superficie.

Da questo universo immaginifico, entusiasta ma consapevolmente drammatico che sembra omaggiare la morte come unica vera prova dell’esistenza di una vita che non sia sogno, prende le mosse la ricerca di Francesco Visalli all’interno delle opere di Mondrian. “Inside Mondriaan” è un lavoro artistico quasi psicanalitico che parte dall’armonia raggiunta per ricercare il caos che l’ha generata. La biografia dice dell’artista, parlando poco dell’uomo, ma è l’uomo che ha preso i pennelli per trasformarsi in creatore, dunque è l’uomo che alle tele ha affidato il suo tracciato evolutivo. Il tradizionale triangolo dell’ispirazione – musa, opera, autore – diventa qui retta ed elemento di un più grande reticolo, che guida all’armonia o al suo motore, che in questo caso è Mondrian stesso. Non il visionario, non ancora almeno, ma il rivoluzionario latente, l’inconsapevole testimone della sua stessa mutazione, il manifestante senza – ancora – manifesto. È la battaglia tra Mondrian e Mondriaan ad affascinare Visalli che per leggere l’uomo sceglie l’alfabeto dell’artista. Il risultato è un incontro di affinità e dissonanze. Così l’armonia perfetta diventa urgenza anche per Visalli, che la contempla per poi cercare di annullarla, risalendo alla sua radice. Il viaggio nella tela, per ammissione stessa dell’artista, diventa prima stimolo, poi fermento, infine “gabbia” dalla quale non si esce se non riannodando il gomitolo sciolto, trasformato in prigione dell’unica retta di fatto senza capo né coda. Non c’è modo di uscire da quell’Inside che moltiplica le facce di Mondrian in un infinito gioco di riflessioni e rifrazioni.

L’urgenza creativa diventa dunque il motore comune agli artisti seppure per percorsi antitetici. Laddove Mondrian cerca l’anima nuda, Visalli sovrappone barocchismi a rivestirla, senza imporre gesti ma solo seguendo le stesse mani che l’hanno denudata. È la poetica dell’à rebours, la proiezione puntata alle spalle a fare lungimiranza del senno di poi. Quell’ardua sentenza dei posteri che non è giudizio ma esplorazione. Di nuovo, riflessione. Mondrian concepisce le opere come bidimensionali architetture per togliere ogni patina di concretezza alla purezza del concetto, Visalli si immerge nelle profondità del pensiero per restituire all’idea il suo spessore e trasformarla in quel monumento che Mondrian teorizzava. Il viaggio è esso stesso architettura. L’armonia è fatta di misure, proiezioni, dilatazioni, trasfigurazioni. E Visalli misura, proietta, dilata, trasfigura. Sono dimensioni che si ampliano, pur rispettando le proporzioni dello sguardo, colori ribaltati sui loro opposti, ideali perni che ruotano rette a farne vortici per dare corpo alla vibrazione che le ha composte in ordine. L’indagine aggiunge dove è stato tolto. Utilizza la materia, paradosso, per evidenziare l’anima.

Il processo è quello di un vero e proprio studio, che poi diventa opera dell’opera, di fatto altro dal suo stesso motore. Il primo passo è quello di distanziare gli elementi, utilizzando i piani di colore per ricavare la “dimensione” dello spessore. La “pianta” diventa così architettura, mostrando subito la sua tridimensionalità. Quando le opere sono ribaltate a farsi specchio di se stesse, torna il gioco di diffrazioni e interferenze che ha nello specchio una delle muse di Mondrian, interessato a guardare la forma nelle sue infinite facce e sfaccettature. Perfino ingannevoli, laddove il senso, con l’errore insito nella sua connaturata imperfezione – è creato, non creatore – si regala lo “sbaglio” della percezione creativa, originale ed unica. Il passaggio successivo non può che essere quello del colore, indagato nella sua vitalità. Non è macchia, né fondo, ma pulsione e battito, tensione appunto, che determina lo spazio sulla base del suo ritmo. È la frequenza, intesa come vibrazione a conquistare prima Mondrian, e poi nel frutto delle sue analisi, Visalli. Il colore diventa tempo, anche di percezione, ma soprattutto di espressione, e in questo percorso intimo nell’opera e nell’operazione di Mondrian viene sezionato per il suo essere emozione. I colori di Mondrian sono quelli primari, non per fisica o calcolo, ma perché primarie sono le emozioni ed azioni che rappresentano, tra passione, calma e riflessione. I tre cardini della conquista di Mondrian che Visalli cancella per risalire al determinante. Se ogni tonalità non è che errore del senso, allora l’unica verità mondrianamente concepibile è in realtà il grigio, tinta fisica del mondo, che il Mondrian cacciatore di verità ha però deciso di rinnegare, rifiutando il predominio delle scienza sull’arte in nome di una presunta obiettività condivisibile, per esaltare invece il Genio come unica ambizione condivisa.

Se il colore dunque è acquisito per volontà e selezionato per ambizione, cosa determina l’intima tavolozza dell’artista? Annullati i blu, i gialli e i rossi dell’astrazione nota e rifiutata pure la scala dei grigi, così concreta da sembrare bugia, Visalli torna agli specchi dell’indagine classica e a quelli dello studio dell’artista per cercare il pantone primitivo. L’inversione regala nuove emozioni, non semplici tinte quindi, al lavoro: arancio, verde e viola sono le tinte secondarie, le opposizioni dello Spettro, le costruzioni dell’uomo. Da quelle rifugge Mondrian per cercare la perfezione, perché invenzioni accessorie di vite accessorie. A quelle torna Visalli nel suo viaggio a ritroso per ricercare la prigione da cui l’artista tentava di liberarsi.

A trasformarsi dunque ora non può che essere la gabbia. Via le rette, largo al caos, la forma si contorce, ruotando su se stessa per farsi vortice. La distorsione moltiplica gli sguardi ed i guardati. Lo stesso oggetto diventa maschera di sé, ma nella serie di ruote e giravolte, mostra la sua coda di pavone fino al disorientamento. Prima dell’armonia perfetta, dunque, l’uomo non è teso all’evoluzione ma imprigionato nell’involuzione, chiuso in se stesso e in se stesso contorto. È l’agonia spirituale e creativa di chi non ha ancora preso consapevolezza del peso che la volontà ha sull’orizzonte. Se così non fosse, se si accettasse il determinismo del piano vitale, allora la puntualità e puntualizzazione dello sguardo umano perderebbe di centralità in una alternanza data di vuoti e pieni, intesa come semplice casualità materica. Se invece la volontà è categoria data per assunta allora la penetrazione diventa imperativo categorico e requisito di comprensione, in quanto primo e incontestabile requisito di partecipazione.

L’armonia perfetta esiste solo se contempla l’uomo, come parte del tutto. L’osservatore esterno è l’artista che accetta il sacrificio dell’esclusione per poter avere il privilegio della coscienza. Non è l’esaltazione del ruolo creativo, come potere trascendente, ma la possibilità della scelta, in questo caso come dovere immanente. Gli opposti si legano dunque, come estremi di una comune parabola, impossibili da separare, pendant di un sistema binario, ma soprattutto catena di un gioco di specchi, in cui chi guarda cosa non è più dato sapere. Ecco la perfezione ed ecco l’armonia viste da differenti fronti, tra fusione e confusione. Scarnificato, l’universo si rivela vibrazione, energia di illusoria forma.

L’arte si sposa con la filosofia, creando una macchina che, “tecnica”, diventa invece monumento dell’anima profonda, quel nucleo dello spirito che è reazione pura e pura passione. Dall’architettura del tratto si passa qui finalmente alla costruzione dell’atto. Se la tensione è alla dimensione unica la propensione non può che essere alla moltiplicazione sensoriale. L’architettura bidimensionale delle tele di Mondrian si fa tridimensionale nella pittura materica di Visalli, in un comune riconoscimento dello spessore come concetto, prima di essere distanza. L’umano è così umano da sfiorare il divino. Il resto è partita a scacchi tra epoche, percezioni e costumi, di certo volontà. La vittoria è all’urgenza che si manifesta in tutta la sua pressione nel momento stesso in cui si impone all’attenzione togliendo fiato al corpo per dare nuovo respiro ai pensieri. Luce, calore e silenzio tornano a “sedare” il corpo stanco dell’uomo provato dall’assordante consapevolezza del dono dell’Arte. E del suo immaginifico pensiero.

Nell’indagine di Visalli, dunque, la ricerca su Mondrian diventa in realtà anche disvelamento autobiografico del suo duplice percorso di espressione, oltre che formazione, architetto e artista, in una “soluzione” o sublimazione del dibattito psicanalitico tra Freud e Lacan. Se sia la psicanalisi ad analizzare l’arte come manifestazione inconscia dell’intimo pensiero o sia l’arte a precorrere la psicanalisi favorendo dunque il suo sviluppo, è problema superato. Così come il conflitto tra Freud e Jung sull’oggetto dell’indagine, se sia da analizzare l’uomo nell’opera o l’opera in se stessa. Qui l’arte analizza l’arte ed è soggetto che guarda, oggetto che è guardato, strumento di indagine e riflessione, “verbo” e silenzio, dunque conscio e inconscio, in un medesimo piano di studio che è in realtà, più di tutto e oltre tutto, esigenza vitale e perfino fisica, tensione muscolare, che rimanda direttamente all’antica ispirazione, come respiro del Sovrannaturale, prima sacro, poi di laica concezione.

Ad essere oltre la Natura qui sembra solo l’Idea. Così, in un ribaltamento delle parti, l’uomo diventa più del dio perché ha saputo pensarlo e l’artista più dell’uomo perché ha saputo, forse anche solo ammettere di averlo inventato. La poetica visione è più del monumento che è suo frutto. Il reticolo mondriano descrive l’architettura dell’anima come paesaggio di pensiero e l’architettura dell’anima è oggetto e teatro della ricerca di Visalli, ben prima di questa indagine. La vera “deità” è nel non percepire i limiti della materia, quale che sia la fonte, comunque fieri e consapevoli padroni dell’immortalità dell’invenzione. L’osservatore contempla, intuisce il vero nell’immagine e se lo riconosce lo accetta, di fatto confortando così il credo dell’artista. L’arte sublima e l’arte incita, l’arte dialoga e l’arte mette a tacere. L’arte tende all’armonia, per raggiungerla o negarla, per consacrarla ad assoluto o dissacrarla. L’Inside firmato da Visalli va oltre ricordando come l’unicità di uno sguardo possa essere motore di un’intera epoca e perfino dei secoli a venire. C’è un sottotraccia armonico che guida il mondo alla scoperta di se stesso e passa attraverso il “sogno” dell’artista.

francesco visalli Cover sito introduzione al progetto Carolina Lio 1

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INSIDE MONDRIAAN

INTRODUZIONE AL PROGETTO

Trasposizione materica di una visione astratta – dalla Pittura all’Architettura

di Carolina Lio – ( 2014 )

Nel 2011 Francesco Visalli vede una retrospettiva di Piet Mondrian (Pieter Cornelis Mondriaan) al Vittoriano di Roma e resta colpito dal titolo  “L’armonia perfetta”. In realtà, trova in tutta la mostra – e in generale in tutto il lavoro del maestro olandese – una straordinariamente semplice eppure rivoluzionaria perfezione delle forme, degli equilibri, dei bilanciamenti dei colori così come dei pieni e dei vuoti. Da questa fascinazione improvvisa nasce il progetto “Inside Mondriaan”, un progetto concettuale di ricerca.

Si tratta soprattutto di uno studio teorico e tecnico in cui Visalli prende in considerazione un corpus selezionato di 47 opere di Mondrian appartenenti al suo periodo astratto e quindi realizzate tra il 1917 e il 1944. Attraverso una serie di variazioni sul tema, tese a entrare all’interno della dinamica di costruzione di quelle opere specifiche, arriva all’elaborazione di 340 visitazioni. Queste esistono, in una prima fase, solo in versione digitale con l’intenzione di materializzarle in altrettanti dipinti e di poi trasporle su un piano tridimensionale realizzato in dimensioni  esponenziali, passando dal modello scultoreo all’installazione monolitica fino ad arrivare alla progettazione architettonica. Lo studio può essere applicato anche al design, ma tenendo presente che le infinite e varie applicazioni di realizzazione sono pur comunque sempre secondarie al vero e proprio intento del progetto, che si presenta come studio concettuale delle dinamiche spaziali e cromatiche di Mondrian e delle grammatiche compositive del movimento De Stijl applicate a una dimensione contemporanea.

I punti di partenza per la costruzione dello studio di “Inside Mondriaan” sono stati l’aver constato che Mondrian è andato progressivamente verso una semplificazione delle sue opere, cercando l’armonia nell’essenzialità, e l’aver determinato la regola principale delle sue opere più mature e bilanciate: il reticolato di linee nere, rette, orizzontali e verticali che si intersecano creando dei piani spaziali che restano vuoti o riempiti esclusivamente dai tre colori primari (giallo, rosso e blu). Gli interventi di Francesco Visalli vanno nella direzione di voler esplorare questa purezza ed elementarietà, creando delle opere che ripercorrano in senso inverso il percorso di pulizia ottenuto da Mondrian. Attraverso inversioni cromatiche, distorsioni, stratificazioni e graduazioni, ne immagina una faccia al negativo e cerca di andare a ritroso in una ipotetica storia di ciascuna opera, ripercorrendo all’inverso la semplificazione ottenuta da Mondrian e cercando in modo quasi alchemico e matematico le “formule” delle sue composizioni perfette e basiche.

Lo studio inizia dall’opera base che Visalli denomina “00”, ovvero la stessa vista al Vittoriano e da cui scaturisce l’idea del progetto: “Composizione con grande piano rosso, giallo, nero, grigio e blu” del 1921. E’ la prima immagine che rielabora al computer, la prima delle 47 opere che analizza seguendo un corpus di azioni precise: esplorare, studiare, penetrare, invertire, distorcere, trasformare. Ogni opera viene ingrandita con elaborazioni concepite a dimensione doppia dell’originale e scissa nelle sue due componenti principali: i piani di colore e il reticolo geometrico. A questo punto, le operazioni compiute per creare le variazioni di ciascuna opera rispettano un iter preciso in nove passi.

  1. Il distacco del reticolo geometrico dalla tela, creando la proiezione di un’ombra sul piano sottostante.
  2. L’inversione cromatica dell’opera, un risvolto interno dove il bianco diventa nero e viceversa, il rosso diventa verde, il giallo si trasforma in violetto e il blu in arancio.
  3. L’azzeramento della saturazione dell’opera, annullando completamente il cromatismo dell’opera e del suo rovescio e trasformandolo in gradazioni di grigio partendo dall’assunto della fisica che i colori non sono altro che frequenze soggette alle nostre percezioni fisiche e che, di conseguenza, non esistono in quanto qualità proprie degli elementi.
  4. La distorsione del reticolo geometrico in linee curve attraverso una “distorsione circolare” che parte dal centro e sfuma raggiungendo gli angoli esterni delle opere, sia mantenendo il colore originale sia applicando l’effetto sul suo opposto cromatico.
  5. L’unione del terzo e del quarto punto, ovvero la distorsione circolare applicata alle opere in gradazione di grigio.
  6. Lo svuotamento totale del colore sulle opere distorte con la sola presenza del bianco e del nero, più la loro inversione.
  7. Il ripristino nel punto 6, e quindi nell’opera svuotata di colore, della distorsione in reticolo geometrico.
  8. La rimozione dei piani del bianco e del nero, immaginando di bucare l’opera e di ottenere una struttura vuota costituita dal reticolo geometrico evidenziato da un’ombreggiatura che rimarca l’idea del vuoto interno.
  9. La reintroduzione del colore che viene come incassato nella struttura forata, mentre gli spazi originariamente bianchi restano come spazi vuoti.

E’ da quest’ultimo punto che ogni ulteriore evoluzione – o involuzione – abbandona necessariamente la parte pittorica e incontra realmente il lato tridimensionale. Questo smette di essere una pura impressione visiva data dalle ombreggiature per prendere corpo in un vero e proprio oggetto scultoreo o addirittura architettonico. Visalli infatti duplica le dimensioni di questi corpi fino a immaginare un’ipotetica città costruita con le leggi del De Stijl, una città come quella che potrebbe essere esistita in una visionarietà di Mondrian, che potrebbe avergli fatto da modello e che egli ha ritratto in passi successivi, sempre più semplificati, fino ad arrivare ad una basilarità disarmante e perfetta.

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Tramite il progetto “Inside Mondriaan”, quindi, l’intento di Francesco Visalli è quello di ricostruire a ritroso questa soluzione, ripercorrendo le orme di Mondrian in una sua proposta di percorso, cercando di ricreare a livello progettuale il suo processo di pulizia dell’oggetto e della forma, razionalizzando e mettendo sotto forma di equazione l’armonia raggiunta dalle opere studiate.

Fin qui la sintesi del progetto per quanto attiene alla ricerca in ambito pittorico e alla proiezione della stessa verso applicazioni tridimensionali, mediante la trasposizione materica della originaria visione astratta. Successivamente, con testi separati, saranno analizzati più nel dettaglio le componenti sperimentali sotto forma di sculture ed installazioni. Mentre la parte architettonica è in via di sviluppo.

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