Testo Critico di CAROLINA LIO per il Progetto INSIDE MONDRIAAN – Sculture e Installazioni

2014

 

Il mondo potrà anche non esser perfetto,

eppure la perfezione esiste, e si presenta sotto

forme semplici, per nulla appariscenti.

 

Banana Yoshimoto

 

Il progetto “Inside Mondriaan” è solo in parte un progetto pittorico. Il suo intento concettuale, infatti, è quello di sviscerare i piani di lettura di un’opera apparentemente tra le più semplici e basilari della storia dell’arte e Francesco Visalli ha spinto questa ricerca fino a creare dalla pittura il prototipo di un relativo oggetto di riferimento. Una tridimensionalità che non è più solo un effetto sulla tela ottenuto dai giochi di ombre e di resa dei piani prospettici, ma che si fa scultura. Prende forma nello spazio, si apre, si rende fisica, corpo solido da esplorare. In questo modo porta un passo avanti non solo la propria visitazione del lavoro dell’artista olandese, ma anche tutte quelle ricerche del Novecento in cui l’arte non figurativa superava il concetto della rappresentazione per esplorare quello più concettuale – e volendo, più intellettuale – del rapporto tra il segno e il mondo. Si apriva la questione dello spazio, di un’arte che voleva costruire una propria visione tramite una ribellione del proprio ruolo puramente estetico per raggiungere il piano del pensiero astratto. Opere incredibilmente raffinate quanto semplici, a partire dal quadrato nero di Kazimir Severinovič Malevič fino alle esperienze spazialiste di Lucio Fontana, ognuna a suo modo, dichiaravano l’esigenza dell’arte di andare oltre alla superficie in cui si svolgeva.

 

 

Così, quando l’artista russo Tatlin incontrò Picasso, capì che dalla pittura cubista poteva astrarre delle forme geometriche da riproporre poi nello spazio reale dando una nuova forma al mondo e creando il “costruttivismo”, secondo cui l’arte doveva opporsi alle vecchie categorie borghesi e permeare l’intero ambiente e l’intera società sviluppando una via di mezzo tra l’architettura e la pittura. Nel 1920, all’interno del manifesto realista di Naum Gabo si legge che “la realizzazione delle nostre percezioni del mondo nelle forme di spazio e tempo è l’unico scopo dell’arte pittorica e plastica”. E lo stesso taglio di Fontana infrange la distinzione tradizionale tra pittura e scultura. Eppure resta sostanzialmente bidimensionale. I suoi sono quadri attraverso i quali guardare oltre, ma lo spazio resta una forma di percezione e di transizione, un incidente dell’opera, suggerito e metaforizzato, non esplicito.

 

 

Le opere di questi artisti del Novecento così intenti a studiare il piano per riuscire a superarlo, possono realmente essere prese e traslate sui tre assi del sistema cartesiano? Un quadro, può avere la sua terza dimensione, può essere “circondato”, “attraversato”, “circumnavigato” come se fosse un’isola che definisce il mare dello spazio vuoto e informe in cui è immerso? Se lo chiede Francesco Visalli quando sceglie di compiere questa operazione su Piet Mondrian, apparentemente il più basico. Il più ludico. L’artista delle linee nere e dei colori primari, degli spazi lasciati bianchi come caselle incomplete. L’artista che dichiarava di ispirarsi alla natura creando composizione astratte completamente regolari. Di una semplicità spiazzante, il suo amore per quella che chiamava “natura” era in effetti una passione per l’essenzialità dell’armonia e per una naturalezza intrinseca della pittura, che costituisse caso a sé tra gli elementi del creato. Voleva riportare la perfezione potenzialmente infinita dell’elemento minimo. Cercava nell’arte quello che i fisici cercano all’interno dell’universo: la formula base, il simbolo più semplice eppure più completo. E come nella fisica, il suo elemento pittorico è “nucleare”: ognuno dei quadri ha, infatti, linee che arrivano fino ai bordi senza che vi sia un loro termine, come se al loro esterno potesse esserci un altro quadro che le continui, e poi ancora e ancora, e così via all’infinito.

Ma restano a parete.

 

 

E per quanto illimitata possa essere la fantasia che queste poche righe compongono nell’immaginario, restano congelate sulla superficie del muro che le ospita, scorrendovi sopra in modo binario. Francesco Visalli è entrato in queste opere prima portando un piano tridimensionale illusorio, evidenziando i possibili piani interni tramite ombre, giochi prospettici, inversioni di colore e distorsioni. E poi, evidentemente e giustamente non soddisfatto della bidimensionalità, ha messo a frutto la sua esperienza di architetto e ha strappato dal muro le opere. Più esattamente è come se avesse preso lo strato più esterno della tela e lo avesse tirato verso l’esterno estendendolo nello spazio, dilatandolo verso l’esterno, fino a produrre uno strappo della pittura dalla parete e una concretizzazione della geometria disegnata in una geometria corporea composta di pieni e di vuoti, di blocchi di colori e di spazio libero.

 


bozzetto del Monolite | sketch of the Monolith

 

il Monolite Bifronte | the Two-Faced Monolith

Le opere di Mondrian diventano allora sculture o addirittura grandi monoliti. La loro dimensione passa dal modellino di studio a delle duplicazioni continue, potenzialmente infinite, in cui lo spazio si allarga verso la direzione contraria del punto di fuga, verso l’infinito che esplode e cattura l’idea totale della spazialità. Possono arrivare a essere immaginati – e potenzialmente realizzati – in una scala sufficientemente grande da costituire idealmente il piano urbanistico di un quartiere in cui, concepiti l’uno in relazione all’altro, questi blocchi solidi arrivano a dialogare tra loro come facciate di edifici e a costituire un microcosmo e una forma abitativa sul filo del sacro.

 


dal progetto delle Installazioni | from the Installations Project

 

 

Il termine stesso “monolite” che Francesco Visalli dà alle sue rese scultoree su grandi dimensioni riconduce, infatti, alla monumentalità religiosa, all’esigenza di rappresentare con grandi blocchi solidi un ordine universale verso cui dirigersi con una speranza e un’intenzione mistica. Gli “Standing Stones” – concepiti finora solo a livello grafico – sono rendering 3D che riportano in mente Stonehenge, l’idea di una civiltà mitica, il sapore della leggenda, la costruzione fisica di un grande vocabolario solido per cercare un dialogo diretto con Dio. Un dialogo tanto maestoso quanto semplice – come semplici sono tutte le preghiere – creato da elementi basilari: dalla pietra delle prime civiltà, ieri; e dalle squadrature e dai colori primari ispirati alle ricerche di Mondrian, oggi.

 

la visione di Stonehenge in un dipinto di Visalli | the vision of Stonehenge in a paintig by Visalli

 

Callanish Standing Stones

 

Naturalmente, a livello sia visivo che intenzionale, le opere scultoree di Visalli non sono un unicum staccato da qualsiasi altra esperienza contemporanea. Anzi, si ricollegano alla scuola della grande scultura minimale americana, non a caso sviluppata da artisti che come lui provenivano dal campo dell’architettura. E’ il caso, per esempio, di Tony Smith che, dopo aver lavorato nello studio di Frank Lloyd, giudicò gli edifici troppo precari e troppo vulnerabili e decise di dedicarsi alla scultura.

 

TONY SMITH the elevens ar up

 

Le sue opere erano appunto minimaliste, estremamente semplici, sagome rettangolari che somigliavano ad agglomerati di scatole o a singoli contenitori. In genere la scultura minimalista americana ragiona, infatti, in modo modulare e ordinato.

 

TONY SMITH wall

 

Basti pensare a Donald Judd con le sue sovrapposizioni di forme rettangolari oppure a Sol LeWitt con le sue variazioni sul tema di cubi aperti e chiusi e assolutamente regolari che suggeriscono l’idea di essere segmenti di un sistema ordinato che potrebbe essere riprodotto e ingigantito all’estremo fino a comprendere il mondo intero.

 

SOL LEWITT

 

DONALD JUDD (Marfa – Texas)

 

Mentre, tra gli artisti europei, un lavoro interessante sul confine tra pittura e scultura in relazione agli ambienti è quello di Daniel Buren. Quasi tutte le sue opere sono rigorosamente site-specific, agendo direttamente sulle strutture architettoniche, specialmente quelle con un determinato ruolo istituzionale e culturale come i musei, in cui attraverso delle bande colorate verticali lo spazio viene modificato ed evidenziato, costringendo il pubblico a focalizzare la propria attenzione. E a questo lavoro in particolare, in un certo senso più profondo della ricerca puramente formale e meno concettuale degli scultori statunitensi, si avvicina molto l’esperienza di oggi di Visalli. Egli, infatti, usa le sue sculture ambientali come segnali e simboli.

 

DANIEL BUREN muri fontane

 

Da un lato, realizza una riproposizione di un istinto arcaico del dialogo con la divinità tramite l’ingigantimento delle forme base della propria cultura. Dall’altro, sviluppa un discorso rivolto alla società tramite veri e propri interventi di arte pubblica. L’opera d’arte non solo trasla fuori dalla parete per acquisire una terza dimensione che prima non le apparteneva, ma sbalza anche fuori dalla galleria o museo che sia, per diventare monumento vissuto. L’idea è, infatti, quella di realizzare dei monoliti che campeggino nelle piazze e davanti ai musei di varie città. Costruire un rapporto tra il pubblico e l’opera in cui si crei un senso di spiazzamento per la riproposizione in scala gigante e tridimensionale di un lavoro conosciutissimo nella sua forma pittorica, come appunto quello di Mondrian.

 

la provocazione di Visalli al Circo Massimo | the provocation of Visalli at the Circus Maximus

 

La differenza tra il proporre un’opera ex novo originale e quella di ri-proporre in una chiave diversa un’opera rivisitata è chiara: impone allo spettatore la domanda sulla spazialità dell’arte, sulla differenza reale tra il piano pittorico e quello scultoreo, sulla “abitabilità” dell’opera e dell’arte contemporanea, che anche quando non può essere sempre portata all’esterno dell’istituzione, monumentalizzata e resa parte del tessuto urbano è comunque sempre, a livello potenziale, una struttura viva, che costruisce la società, che deriva dal popolo che la origina e allo stesso tempo lo forgia. Una cellula intellettuale di una intellettualità “politica” nel senso meno schierato del termine e più ampio possibile: un impegno umano verso la costruzione del mondo, verso il proprio simile, verso l’idea di umanità e di “idealità” della storia.